21 giugno 2009

The Big Sort

The Big Sort: Why the Clustering of Like-Minded America is Tearing us Apart
Bill Bishop, Robert Cushing
Houghton Mifflin


Luogo comune di un tempo era che osservare la società statunitense contemporanea consentiva di avere uno scorcio della nostra società venti anni nel futuro. Così, "Colletti Bianchi" di Wright Mills, scritto nel 1951 e pubblicato in Italia nwl 1966, ci forniva una buona base per capire non solo la marcia dei 40000 alla FIAT del 1980, ma anche il loro successivo accantonamento e rigetto da parte dell'azienda, che avevano così clamorosamente appoggiato contro le rivendicazioni degli operai. Ovviamente, il senno di poi falsa la visione, ma resta vero il nocciolo della questione. In modo diverso, i salotti invasi dalle trasmissioni televisive affollati di personaggi autoreferenziali, che Dick proponeva in "Do androids dream of electric sheep?" erano una estremizzazione delle trasmissioni degli anni 1960, ma sono molto vicine a quelle che infestano i nostri palinsesti.
Negli ultimi anni probabilmente questo effetto di visione del futuro si è sfumato, poiché inseguiamo più da vicino il modello di oltreoceano, ma The Big Sort è comunque una lettura intrigante, anche affrontata come analisi non di un modello del nostro futuro, ma come modello utile per il nostro presente.
Il fenomeno messo in evidenza dagli autori è il clustering delle persone in base alle visioni della propria vita, che sfocia nella formazione di comunità omogenee dal punto di vista culturale, sociale, politico, ideale, in una sorta di nuova segregazione comunitaria (non siamo al livello delle sfere di Walzer, ma è inevitabile pensare ad esse). A rendere possibile la formazione di queste enclaves è l'alta mobilità della popolazione: ogni anni un numero che va da 3 a 5 milioni di persone cambiano residenza, non secondo un moto casuale, che darebbe maggior omogeneità, ma per precise scelte di vita. Si cerca un posto dove vivere tranquilli, senza l'assillo del contraddittorio. Conseguenza: radicalizzazione delle opinioni e conformismo, ovvero la decadenza della capacità di concepire ed esprimere una politica, che consideri l'esistenza ed i diritti degli"altri".
In Italia, la segregazione non ha corrispettivo territoriale del tipo statunitense, data la minore mobilità, ma è ormai evidente che diversi gruppi sociali/culturali si dispongono compatti rispetto alcuni temi, formando così enclaves omogenee, con scarsi e via via minori punti di contatto e possibilità di dialogo. Questo meccanismo, che in piccolo ha portato alla polverizzazione della rappresentanza politica della sinistra cosiddetta estrema, in grande determina la sclerosi politica, intesa come incapacità di mediazione e confronto, che investe pervasivamente la società, dal Parlamento alla convivenza quotidiana. Le varie comunità non solo tendono verso diverse interpretazioni o modelli sociali, situazione sana e fisiologica in una società complessa, ma ormai letteralmente vedono (e quindi vivono) in mondi diversi, dove diversi sono i fatti stessi. Questo è ciò che rischia di ingenerare il collasso della convivenza e della qualità della democrazia.

PS
In Italia, sono interessanti i lavori di Ilvo Diamanti sulla distribuzione territoriale del voto: "Verde, bianco, rosso e azzurro", uscito nel 2005 presso il Mulino, ed il recente "Mappe dell'Italia politica", sempre per Il Mulino.

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