25 luglio 2007

Rudyard Kipling: Kim

Kim, ovvero l'esotico, e questo non può sorprendere: Kipling mette in scena l'India vista dall'Inghilterra coloniale, luogo del pittoresco, dello spirituale, della mescolanza di culture e dello scontro imperiale (il famigerato Grande Gioco, che vedeva contrapposte Gran Bretagna e Russia).
Ma Kim è anche profondamente ambiguo: che diremmo di un romanzo contemporaneo che narra l'iniziazione alla guerra di un bambino? Lo chiameremmo racconto di un plagio? Kim come i bambini-soldato che pullulano in Africa ed Asia?
Eppure eppure eppure... Alla fine, non sono sicuro che Kim si unisca al Grande Gioco, piuttosto che seguire la via spirituale del suo lama. Durante tutta la vicenda, oscilla fra la fascinazione offerta dalla grandezza imperiale inglese e la alterità della vita sulla Strada.
Non metto in dubbio che Kipling abbia scritto una celebrazione della potenza britannica, ma Kim è comunque un grande romanzo, dalle tante pagine esemplari nella loro capacità di rendere l'atmosfera ed i colori di un mondo lontano. Forse anche totalmente inventato, come quelli deil fantasy o della fantascienza, ma affascinante.

17 luglio 2007

Tocotronic: Kapitulation

Ovvero, esempio di come la magia del suono faccia del tutto a meno della comprensione. È l'effetto su cui fa leva tutta la poesia, ed in particolare quella forma di poesia che è la canzone. La canzone aiuta la magia delle parole con quella della musica e, soprattutto, del ritmo.
Fra le canzoni di questo album ci sono piccoli anthem che vien voglia di cantare, tanto sono trascinanti.
E, ribadisco, c'è la (mia) scoperta di quanto musicale possa essre il tedesco (quello di Amburgo?).
Ascoltare per credere: vorrete assolutamente canticchiare il ritornello di Mein Ruin:

Mein Ruin ist mein Bereich
Denn ich bin einer unter euch.
Mein Ruin ist was mir bleibt
Wenn alles andere sich zerstäubt.

Ovvero:
La mia disfatta è il mio spazio
poiché la mia esistenza ha senso solo in mezzo a voi.
La mia disfatta è quanto mi resta
quando tutti gli altri si dissolvono.

01 luglio 2007

Arturo Pérez-Reverte:Capitano Alatriste

Un buon romanzo di cappa e spada lo si legge sempre volentieri: il genere ha la sua prestigiosa tradizione e continuo a pensare lo si possa in qualche modo pensare imparentato al fantasy più classico.
La messa in scena di Arturo Pérez-Reverte cura molto l'ambientazione ed il colore, tenta di farci immergere nei luoghi, rumori, sensazioni ed umori della Spagna di inizio XVII secolo, avviata irreversibilmente alla decadenza. La storia in sé è semplice e lineare: un assassinio si commissione che si rivela nodo di intrighi di potere, a cui concorrono Chiesa, nobili ed aspiranti tali e l'onnipresente Conte di Olivares. Lo scioglimento, al termine di una serie di movimentati duelli, scontri ed incontri avviene in quello stesso dominio, nel senso che sono i potenti a dirimere la delicata questione, ben al di sopra di Alatriste.
Ed è proprio questo che mi sembra da sottolineare: il protagonista è meno di un antieroe: è un semplice soldato, pieno di quell'orgoglio fuori luogo che non ha salvato la Spagna ed impotente a controllare e determinare la propria vita.
Dietro gli aneddoti e gli episodi divertenti, gli scambi di versi corrosivi e di stoccate, emerge proprio questo senso di frustrazione ed impotenza: le forze che determinano la vita degli individui (anche dei valorosi come Alatriste) sono semplicemente aldilà di qualsiasi possibilità di intervento. E sono indifferenti al dolore, alla miseria ai bisogni.
Ai diseredati, a tutti quelli che del mondo dei potenti non fanno parte, non resta che sperare di non essere travolti dai loro maneggi,che a volte sono congiure di Palazzo, altre volte sono guerre.

La saga di Pérez-Reverte è diventata un film "Il destino di un guerriero", dove Alatriste è ottimamente reso da un malinconico e cocciuto Viggo Mortensen. La scelta di raccontare tutta la saga in un solo lungometraggio non è stata felice: si perde il ritmo, si perdono i personaggi, ed anche i collegamenti fra gli eventi. Si riduce tutto a costumi, scenografie e cose che accadono sullo schermo. Quello che viene esaltato è invece la mancanza di senso dell'esistenza dei poveracci, che non possono sfuggire al proprio destino, scritto altrove. L'onore è un antidolorifico che serve a sopportare i giorni e le disgrazie. Ma che non porta a niente.


Arturo Pérez-Reverte: Capitano Alatriste (1996)
Ed.: Salani / Marco Tropea (2001)